Ciao, sono Gianluca, un innamorato delle proprie passioni. L'avventura è il tema portante, intesa come distacco dalla realtà quotidiana, per immergersi in un contesto dove l'istinto predomina sulla razionalità; intesa come scoperta della verticalità, nel sentirsi completi quando si va sempre più su, sfidando le proprie paure ma contemplando l'abisso. In questo spazio sono condivise le mie esperienze, magari per invogliare qualcuno a ripeterle, magari per fornire qualche utile consiglio.


martedì 12 dicembre 2017

Monte Gorzano da Cesacastina Invernale

"... la lotta per raggiungere la vetta di una montagna basta a riempire il nostro cuore... lo scalare quei luoghi impervi ed inaccessibili è utile per smarrire la nostra identità ovvero ritrovare noi stessi. Durante un'ascesa o una traversata in quota a volte sfidiamo la morte di continuo, ma, proprio per sconfiggerla, vogliamo continuamente ripetere questa azione perché il perpetuo alternarsi tra salita e discesa rappresenta metaforicamente i poli opposti della nostra condizione: da un lato la quotidianità spesso insensata e frustrante che ci viene imposta dalla società in cui viviamo; dall'altra il tentativo di ribellarsi ad essa accompagnato dal processo di liberazione che riesce a dare senso e pienezza alla nostra esistenza.."



Dieci Dicembre 2017
Partenza da Cesacastina (1167m) ore 7:39 
Rientro a Cesacastina ore 14:23 
Durata escursione 6h 44' (pause merenda di 21'al limitare del bosco e di 19' lungo la carrareccia nei pressi di Cesacastina)
Tempo di marcia: 6h 04'
Lunghezza tragitto: 23,5 km circa
Grado di difficoltà: EEi (ho aggiunto una E per le avverse condizioni meteo)
Dislivello in salita: 1372m 
Dislivello in discesa: 1371m 
Vette raggiunte: 2458m Monte Gorzano
Quota massima: 2458m Monte Gorzano
Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga su Wikipedia
Monti della Laga su Wikipedia
Monte Gorzano su Wikipedia




Marcato in azzurro il percorso su traccia GPS registrata durante l'escursione.




Percorso:
Partenza dalla carrareccia poco fuori l'abitato di Cesacastina (TE) (indicazioni "Valle delle Cento Fonti"), seguendola fino ad arrivare alla località "Le Piane" (1325m); da qui si prosegue sulla destra in direzione di un grosso edificio grigio (una stalla) superando in successione un abbeveratoio ed alcuni balzi. Giunti nuovamente sulla carrareccia la si segue fino ad un bivio: prendere la stradina sulla sinistra (è presente una sbarra) e continuare superando una cabina ENEL. Prima che la carrareccia inizi a scendere di quota e ad inoltrarsi nella valle delle "Cento Fonti" bisogna svoltare sulla destra per il bosco soprastante (segni giallo rossi sugli alberi) da cui, una volta usciti, si prosegue lungo il bordo della "Costa delle Troie" seguendolo fin sotto la "Cimata" (2200m). Si prosegue per un breve tratto in leggera discesa per poi risalire fino alla cresta sommitale del Monte Gorzano che conduce fino alla sua vetta. Per il ritorno è stato seguito lo stesso percorso dell'andata.



Relazione:
Fa freddo, parecchio, il termometro dell'automobile segna -8°C: è da qualche minuto che giriamo con i finestrini aperti, d'altronde è meglio acclimatarsi piuttosto che subire uno shock termico di -30°C!
Parcheggiamo poco fuori Cesacastina, lungo la carrareccia che con ampi tornanti conduce alla località "Le Piane" (1325m): non proseguiamo, non abbiamo un fuoristrada ed il fondo stradale è in condizioni davvero pessime, meglio fermarsi qui e proseguire a piedi, così ci scaldiamo per bene! 
Mentre saliamo, tenendo un buon passo più che altro per portare in temperatura i nostri corpi, con Mirko non posso non concordare sul fatto che questo tratto ricorda tantissimo quello che da "Isola San Biagio di Montemonaco" conduce al rifugio "Sibilla" nei Sibillini, tratto percorso parecchie volte l'inverno scorso (vedi post Monte Sibilla per la cresta di Nord-Est Invernale e quello di "Laghetto" di Palazzo Borghese dal rifugio "Sibilla" Invernale).
Finalmente giungiamo alle Piane ed invece di proseguire lungo la strada preferiamo imboccare un bivio, sulla destra, che ci conduce nei pressi di una grossa stalla: da qui risaliamo un ripido pendio, dove cominciamo a calpestare la prima neve, che ci riconduce sulla carrareccia abbandonata poc'anzi, in questo modo ci siamo risparmiati un bel tratto!
Ogni tanto volgiamo il nostro sguardo a Sud-Est, dove il sole inizia a far capolino tra le vette dell'intero gruppo del Gran Sasso: il panorama è meraviglioso ed i raggi di luce che filtrano tra gli alberi donano al paesaggio un che di etereo. 


Il sorgere del sole sul Camicia...

Dopo alcune svolte, giunti ad un bivio, saliamo sulla sinistra superando una sbarra (aperta) e lasciando la via principale che prosegue verso Nord.
La salita continua finché non giungiamo nei pressi di una cabina ENEL: qui decidiamo che è giunto il momento di indossare le racchette da neve, il manto nevoso inizia ad essere consistente e si affonda un po' troppo. 


L'intera catena del Gran Sasso: condizioni meteo favolose, almeno per il momento!

Proseguiamo sempre seguendo la carrareccia ed è tanto l'entusiasmo per quello che i nostri occhi ammirano che non vediamo sulla destra l'imbocco del sentiero che conduce alla "Costa delle Troie": dopo qualche decina di metri mi accorgo che c'è qualcosa non quadra e ci stiamo addentrando un po' troppo all'interno della vallata delle "Cento Fonti" oltretutto scendendo di quota. Tornati sui nostri passi troviamo un varco tra la vegetazione e seguendo i segni bianco-rossi sugli alberi iniziamo a salire rapidamente di quota.


Angoli di paradiso poco prima di inoltrarci nel bosco.

Poco prima di sbucare dal bosco decidiamo che è giunto il momento di ricaricarci di energia prima di affrontare il lungo tratto scoperto che ci condurrà fino alla vetta del "Monte Gorzano" (2458m): il tempo si mantiene bello ma si sta alzando un forte vento da Sud-Ovest che non ci consentirà soste lungo la "Costa delle Troie".
Le previsioni meteo parlavano chiaro, bel tempo fino alle 13:00 circa con venti da Sud-Ovest in graduale intensificazione, temperatura intorno ai -10 °C a quota 2000m (quella percepita si prevede sarà di -16 °C a causa del forte vento che dovrebbe attestarsi intorno ai 35 nodi): per queste ragioni abbiamo tenuto un buon ritmo che dovrebbe consentirci di arrivare in vetta intorno alle 11:00 in modo di scendere in assoluta tranquillità per la vallata delle "Cento Fonti"; se il maltempo dovesse ritardare c'è anche l'opzione di chiudere l'anello passando per la cresta della "Cima della Laghetta".
Nascosti dietro un grosso albero, rigorosamente in piedi, facciamo un abbondante colazione, terminata la quale riprendiamo subito la marcia. Il terreno ora è scoperto e ci teniamo leggermente sulla destra, qualche decina di metri lontani dalla cresta, per cercare di prendere in maniera attenuata le forti raffiche che arrivano da sinistra.
Ogni tanto il nostro sguardo viene inevitabilmente attratto da quello che il massiccio del Gran Sasso ci offre, da questa posizione privilegiata la vista è magnifica e spazia dal Camicia a Est fino al Monte Corvo a Ovest: il versante teramano del gruppo offre degli scorci che definire meravigliosi sarebbe riduttivo!


La catena del Gran Sasso dal Monte Corvo al Camicia: spettacolo puro!

Intanto il freddo sulle mani inizia ad essere pungente così decido di cambiare le mie muffole leggere con un paio di guanti in Goretex più pesanti ma anche così le mie dita continueranno a patire il gelo fino al termine dell'escursione, a tal proposito sicuramente cambierò qualcosa per non ritrovarmi nuovamente in una situazione del genere.


Le prime nubi iniziano a coprire le vette del Gran Sasso: conviene ci si copra anche noi!

La salita procede, passo dopo passo, su di un terreno perfetto: la neve è bella compatta e proseguire con le ciaspole non è così faticoso come accade in altre circostanze. Il problema ora è rappresentato dalle forti raffiche di vento laterali che sollevano cristalli ed addirittura pezzi di neve ghiacciata e dalla forza che dobbiamo imprimere ai nostri passi per non essere scaraventati a terra. 


Amo particolarmente questo scatto in cui l'effetto "caleidoscopio" non è provocato da nessun artificio in post produzione, bensì dai granelli di neve ghiacciata spostati velocemente dalle raffiche di vento.

Poco sotto la "Cimata" (2200m) però dobbiamo confrontarci con un problema ben più grande rispetto a quello del freddo e del vento ossia quello dell'arrivo delle nubi: la vetta del Gorzano è già coperta ed un grosso fronte nuvoloso sta venendo nella nostra direzione molto velocemente. 


"Il fascino dell’ignoto domina tutto."
Omero

Quasi inconsciamente intensifichiamo la nostra andatura, in pochi minuti però ci ritroviamo al buio, un buio bianco dove la visibilità è si e no di pochi metri: situazione analoga a quella vissuta durante un'ascesa in condizioni simili al Monte Priora nei Sibillini (vedi post Monte Priora per la cresta di Sud-Est (Gola dell'Infernaccio) Invernale). 


Si fatica ad intravedere il Gran Sasso fra le molteplici nubi in arrivo.

La differenza sostanziale è che in quella circostanza, salendo per una cresta larga solo qualche metro, il percorso era pressoché obbligato, invece adesso le possibilità di finire fuori sentiero sono molto alte anche perché dobbiamo camminare necessariamente lontani dall'unico riferimento visivo che abbiamo, ossia le rocce della "Costa delle Troie".


Anche a Nord-Est il cielo si sta riempiendo di nuvole.

In questa situazione ci possiamo affidare solo al GPS e decidiamo di proseguire solo perché ne sto finalmente utilizzando uno di quelli "seri". Dopo una lunga ricerca infatti mi sono deciso di acquistarne uno affidabile e preciso allo stesso tempo, magari spartano ma di una efficienza indiscutibile in ogni condizione: sto parlando di un Garmin 64S. In questa maniera ho abbandonato l'utilizzo di alcune APP su smartphone che in determinate condizioni lasciano il tempo che trovano e, cosa ben più grave, consumano batteria velocemente e non sono precise: il telefono deve fare il telefono, punto.
Si va avanti, piano ma costantemente, mi devo fermare spesso non perché sia stanco bensì per vedere se sto seguendo la traccia: il forte vento tende a farci "scivolare" inesorabilmente verso destra e mi accorgo ben presto che per evitare questa deriva devo dare un'occhiata al GPS ogni centinaio di passi circa.
In breve tempo questa routine si consolida a tal punto che quasi non ci accorgiamo di proseguire per un breve tratto in discesa: abbiamo superato la Cimata e ci stiamo dirigendo verso la cresta sommitale del Gorzano.
Si risale e contemporaneamente ci si muove verso Ovest, ce ne rendiamo conto dal vento che ora soffia non più lateralmente ma frontalmente; stranamente, a questa quota (siamo intorno ai 2350m), la sua intensità sembra calare e questo ci da un leggero sollievo, il freddo invece...
I nostri abiti in alcuni punti sono congelati ed ho la bocca completamente "impastata" dal freddo, quando tento di articolare alcune parole mi sembra di essere ubriaco per come sento la loro intonazione! Sorrido a questo pensiero e a dispetto delle avverse condizioni sono pervaso da una strada euforia. Un motivo ormai da qualche tempo sta suonando nella mia mente e mi sprona ad andare avanti: cerco anche di intonarne qualche verso, che si perde inevitabilmente nel forte vento...

Piccola parentesi musicale-filosofica.

"Heroes" (Eroi) 

Musica di Brian Peter George Eno e David Bowie, testi di David Bowie

I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing, will drive them away
We can beat them, just for one day
We can be heroes, just for one day

And you, you can be mean
And I, I'll drink all the time
'Cause we're lovers, and that is a fact
Yes we're lovers, and that is that

Though nothing, will keep us together
We could steal time, just for one day
We can be heroes, forever and ever
What'd you say?

I, I wish you could swim
Like the dolphins, like dolphins can swim
Though nothing, nothing will keep us together
We can beat them, forever and ever
Oh, we can be heroes, just for one day

I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing, will drive them away
We can be heroes, just for one day
We can be us, just for one day

I, I can remember (I remember)
Standing, by the wall (by the wall)
And the guns, shot above our heads (over our heads)
And we kissed, as though nothing could fall (nothing could fall)
And the shame, was on the other side
Oh, we can beat them, forever and ever
Then we could be heroes, just for one day

We can be heroes
We can be heroes
We can be heroes
Just for one day
We can be heroes

We're nothing, and nothing will help us
Maybe we're lying, then you better not stay
But we could be safer, just for one day
Oh-oh-oh-ohh, oh-oh-oh-ohh, just for one day

Traccia 3 dell'album "Heroes" (1977) di David Bowie

Tutti i testi sono coperti da copyright e sono di proprietà degli autori.

Innanzitutto partiamo dall'etimologia della parola "eroe" che è da ricondursi al latino "heros" e a sua volta dal greco "èros" (uomo forte e valoroso). In realtà "èros" era in origine "veros" e solo successivamente la prima consonante verrà aspirata; controprova ne è il fatto che andando ancor più indietro nella nostra ricerca, giungendo al sanscrito, troviamo il termine "vir-a", che  significa eroe, forte, da cui deriva anche il latino "vir", ossia uomo vigoroso.
Ai giorni nostri il termine eroe non viene più usato per sottolineare virtù fisiche come la forza, il coraggio (nella mitologia greca classica l'eroe era un semidio, figlio dell'unione tra un mortale ed una divinità che compiva gesta leggendarie) bensì per indicare virtù morali quali il coraggio, l'abnegazione, l'accettazione di esporsi al rischio del sacrificio, l'eroe si definisce nelle sue caratteristiche costitutive e non nei suoi aspetti esteriori. 
Siamo nella metà degli anni ‘70 e David Bowie sprofonda in un momento buio della sua esistenza: i problemi di alcol, droga, quelli legati al fisco ed il conseguente degrado dei rapporti sociali stanno minando la sua vita. È solo e confessa ai suoi amici fidati il timore di non farcela: probabilmente non farà più musica, di lì a poco potrebbe anche morire. Per disintossicarsi dal marcio che lo avvolge dentro e fuori comincia un percorso introspettivo e si rifugia a Berlino: una sorta di esilio in questa città situata nel cuore della Repubblica Democratica Tedesca, in piena guerra fredda, vicino al muro che divide due mondi contrapposti, una delle tante immagini dualistiche evocate nel corso della discografia di Bowie. Gli Anni Sessanta e Settanta d'altronde sono il paradiso dei dualismi: le due Germanie, l'Est e l'Ovest, le due facce del Muro, l'ideologia comunista e quella capitalista, riformisti e conservatori, laici e clericali, bianchi e neri, i diritti delle donne e il paternalismo degli uomini, ma anche le (tante) doppie facce dell'individuo; quest'ultima dialettica Bowie la conosce bene, e sa che anche se si libererà dallo spauracchio della droga non ne sarà mai completamente al sicuro e che i propri lati oscuri saranno sempre pronti a riemergere.
Questo è l'inizio di un percorso per ritrovare se stesso attraverso la ricerca, ed è per questo che inizia a comporre, a scrivere. C’è una donna al suo fianco, ma lui decide che questa volta dovrà arrivare alla fine senza essere aiutato perché per affrontare la sua parte più intima, il suo inconscio dovrà essere nudo, spogliato di tutte le maschere del personaggio che lo hanno contraddistinto fino ad ora; in questa fase ridiventa "persona" lasciando partire per altri mondi l’alieno che fino a qualche anno fa incarnava.
Il viaggio che intraprende è nell'oscurità, nell'imperscrutabilità e nella paura per l’incertezza delle scelte non ancora definite e l’angoscia che da esse ne deriva. C'è una sorta di decadenza in tutto ciò però l’uomo, e non il personaggio Bowie, cercando nella sua coscienza, stavolta non rimarrà completamente disilluso...
L’atmosfera è rarefatta e allo stesso tempo cupa, l’orizzonte è all'infinito, ma c’è un qualcosa che gli da fiducia, che gli fa credere che ci sia una via di uscita dopo quest'estenuante ricerca, dopo i vani tentativi di espiazione.
Se quello che si cerca non è stato ancora trovato, ora siamo sicuri che c’è una possibilità e ci sarà anche la forza per poterne prendere atto e la consapevolezza, quindi, per poter reagire. Per sconfiggere la morte David Bowie celebra la vita, pur senza dichiararlo apertamente.

"We could be Heroes, just for one day.
We could be us, just for one day.
We can beat them, for ever and ever.

Possiamo essere Eroi, anche solo per un giorno.
Possiamo essere noi, anche solo per un giorno.
Possiamo sconfiggerli, per ora e per sempre."

Possiamo essere "eroi", possiamo essere “immortali”, anche se solo per un giorno, ma quel giorno possiamo essere “noi”. Possiamo sconfiggere i tormenti, le paure, la dipendenza e possiamo farlo adesso e forse in via definitiva. È questo che urla David Bowie. Possiamo essere eroi per un giorno e dovremmo riprovare a farlo anche il giorno successivo e quello ancora!
Possiamo essere “noi”, senza orpelli e per fare questo dobbiamo accettarci per quello che siamo, con i nostri pregi e le nostre debolezze.
Heroes è un brano commovente, struggente, languido e malinconico e tante altre cose che vengono racchiuse dentro quell'unica frase di forza straordinaria “possiamo essere eroi, solo per un giorno” che coglie all'improvviso il nostro cuore sciogliendoci in quell'inno alla vita. La leggenda vuole che questa canzone nasca dalla storia, raccontata in maniera molto stringata, di due giovani innamorati che si baciano a Berlino all'ombra del Muro e che, nonostante la sorte sfortunata di quella città, non rinunciano al loro sogno di felicità di migliorare la loro esistenza. In realtà l'episodio che ispirò il testo del brano è legato alla relazione clandestina tra il co-produttore Tony Visconti e la vocalist Antonia Maass, abbracciatisi poco lontani dagli Hansa Studios sotto gli occhi di Bowie stesso.
A livello sonoro, il brano è un compendio di grandi idee sulla registrazione, non ultima quella di incidere la voce di Bowie con tre differenti microfoni a diverse distanze, in modo da conferirle un effetto anche timbrico basato sulla posizione della sorgente ed in questo modo il cantante sembra quasi innalzarsi al di sopra degli strumenti che sostengono al meglio la struttura compositiva del brano stesso e che alla fine si dileguano di fronte alla forza del cantato divenuto urlo eccitato e disperato. 
Il muro vibrante del suono di "Heroes" (il titolo originale è già virgolettato, ad indicare l'ironia che tiene sempre coi piedi per terra anche l'argomento eroico del brano, ed è un chiaro omaggio al brano "Hero", pubblicato un paio di anni prima dalla band Tedesca Neu!) creato principalmente dalle idee di Brian Eno, l'altro co-produttore insieme al già citato Visconti e compositore, è nella sua stessa immaginazione un richiamo semiotico alla maestosità, all'epico, all'eroico, a ciò che principalmente l'ascoltatore cerca nella musica popular: non a caso, a sentire Eno stesso, il concetto di "eroe" è presente già al momento della creazione del brano musicale, tra i primi ad essere inciso nelle sessioni dell'album omonimo, ma tra gli ultimissimi ad essere dotato di liriche che raccontino una storia. 
Robert Fripp, il chitarrista, nel suo modo unico, compie un capolavoro di inventiva creando un’onda continua con la sua chitarra, quasi un duetto-duello con la voce di Bowie e Eno ci mette di suo quel senso dell’epico, del glorioso che, come già detto, pervade tutto il pezzo.
Quando uscì, il singolo fu accompagnato da un video che ritraeva l’artista, solo, in piedi su uno sfondo nero: non c’erano grandi imprese sullo sfondo, né colori ed effetti speciali...

Il video ufficiale di "Heroes".

Solo l’eroismo di sopravvivere al proprio tormento prima di averlo sconfitto.
Nelle ultime settimane c'è stato un ritorno di fiamma da parte mia per questo motivo, forse legato alla splendida rivisitazione che ne hanno fatto i Depeche Mode, omaggiando il "Duca Bianco", nel corso del loro "Global Spirit Tour", quasi a chiudere un cerchio che si era aperto nei primissimi anni '80.
La leggenda vuole che prima dei Depeche Mode c'erano i "Composition of Sound", una band new wave che Vince Clarke, Martin Gore e Andy Fletcher formarono nella primavera del 1980. I COS furono in grado di mettere insieme una demo di 4 canzoni con Clarke alla voce: resosi conto delle sue non eccelse doti canore e del suo desiderio di non essere al centro dell'attenzione, Clarke stesso si mise alla ricerca di un suo sostituto che trovò qualche settimana più tardi. Il destino volle che durante questa ricerca, assistendo ad una jam session informale, si imbattè in un giovane quanto sfrontato cantante che si esibiva proprio in "Heroes" di David Bowie, il cui nome all'anagrafe  è David Gahan...


Il video ufficiale di "Heroes" nella reinterpretazione dei Depeche Mode (Highline Sessions Version).

Grazie a Youtube ed avendo assistito dal vivo a questa performance durante un concerto che si è tenuto allo Stadio Olimpico di Roma il Giugno scorso, ormai da qualche tempo, come dicevo prima, ho in loop questo brano che guarda caso coincide proprio con lo stato d'animo che ho in questo istante.

Ma se a te piace, volontier saprei 85
quanto avemo ad andar; ché ‘l poggio sale 86
più che salir non posson li occhi miei».     87

Ed elli a me: «Questa montagna è tale, 88
che sempre al cominciar di sotto è grave; 89
e quant’om più va sù, e men fa male.    90

(da La Divina Commedia - Purgatorio, Canto IV)

Indubbiamente chi pratica alpinismo prima o poi si sarà posto una semplice quanto non scontata domanda: "Perché faccio tutto questo?"


Fasi di salita lungo lo scivolo nevoso del Corno Nero (4322m), sullo sfondo, da sinistra verso destra: parte di Punta Dufour (4634m), Punta Zumstein (4563m), Punta Ludwigshohe (4342m), Punta Gnifetti (4554m) e Punta Parrot (4436m).

La canzone di Bowie può darci una chiave per formulare una risposta ossia quella che "Possiamo essere Eroi, anche solo per un giorno".

La Divina Commedia - Purgatorio, Canto IV - Salita di Dante, illustrazione di Gustave Doré.

L'alpinista d'altronde è stimolato nel compiere le sue imprese non tanto per l'aspetto sportivo in sé bensì dal mito dell'eroe romantico al quale anela. In tutto questo però vi è una non trascurabile contraddizione perché l'uomo, in quanto tale, non è un semidio, non è immortale e non potrà mai essere un eroe...
Durante un'ascesa le emozioni che si provano riescono a destare quanto di più profondo è celato all'interno del nostro essere e ci afferrano quasi con la massima violenza da un punto di vista etico e spirituale: siamo letteralmente alla mercé di questa meravigliosa estasi interiore.


Arrampicata lungo la cresta rocciosa del Corno Nero (4322m).

Il tutto però è effimero perché una volta arrivati in cima, conquistata la vetta, la felicità raggiunta al termine dell'immane fatica si trasforma, diminuendo velocemente di intensità fino a scomparire: il senso di pienezza che aveva riempito il nostro io "cavo" svanisce e man mano il sentimento di felicità si trasforma in uno di tristezza per la perdita che si sta consumando.


Scendendo per la sottile cresta nevosa di Punta Parrot (4436m), chiamata anche il piccolo Lyskamm, verso il Colle del Lys.

A questo punto entra in gioco un nuovo/vecchio tormento ossia la necessità di colmare il vuoto interiore che si è riformato e cresce quindi l'esigenza di approcciarsi con una nuova impresa da compiere: un nuovo fardello che ritroveremo ai piedi della prossima montagna da affrontare, perché in quanto mortali non possiamo rimanere in eterno sulla cima, a noi non è concessa una perpetua condizione di appagamento.


Sulla vetta del Corno Nero (4322m), sullo sfondo, da sinistra verso destra: Punta Dufour (4634m), Punta Zumstein (4563m), Punta Ludwigshohe (4342m), Punta Gnifetti (4554m) e Punta Parrot (4436m).

Come novelli Sisifo dobbiamo spingere un masso dalla base alla cima della montagna, ricominciando ogni volta da capo, perché tutte le volte, raggiunta la vetta, il masso rotola nuovamente alla base del monte... Ogni volta e per l'eternità, ricominciando senza mai riuscire nel nostro intento...

Sisifo, dipinto da Tiziano (1548-1549, olio su tela, 237×216 cm, Madrid, Museo del Prado).

La gioia e la felicità sono condizioni effimere che per essere godute nella loro pienezza necessitano sempre di uno sforzo iniziale accompagnato successivamente da una rinnovata fatica, d'altronde non possiamo sfuggire in alcun modo alla limitatezza della nostra vita: questo è il messaggio che ci consegna Sisifo ed in un'altra maniera Prometeo.
Fortunatamente la contraddizione che emerge dal ragionamento sinora portato avanti è durevole soltanto per il tempo che abbiamo impiegato nella lettura di queste mie righe perché qualcuno più importante di me in passato aveva già riflettuto su questi concetti ed aveva trovato delle risposte.


" (...) Per Camus, la strada maestra dell'uomo che pensa è quella di combattere contro l'assurdo e la mancanza di senso dell'esistere. Un assurdo che non è nella natura dell'uomo
in quanto tale, ma nei "modi" con cui l'uomo struttura negativamente il proprio esistere e il proprio convivere. Far fronte alla "peste" (che nella sua opera simboleggia anche la dittatura) è possibile nella solidarietà e nella collaborazione. Gli uomini, se uniti da ideali positivi perseguiti con determinazione e forza, devono sempre rimanere vigili in attesa che «...la peste torni a inviare i suoi ratti». Ma tutto questo deve fare i conti con lo stato personale di attività e con i propri limiti: l'artista (così come l'uomo comune) è sempre in bilico fra solidarietà e solitudine (solidaire ou solitaire), e spesso si trova di fronte a situazioni che avrebbe potuto evitare se avesse approfittato di un'occasione passata.
La filosofia dell'assurdo emerge più che altro nel Mito di Sisifo, in cui Camus, negando qualsivoglia valore a un significato trascendente alla vita e al mondo, riconosce come assurda l'esistenza: senza un significato, l'esistenza è irrazionale ed estranea a noi stessi. La ricerca di un profondo e autentico legame fra gli esseri umani è reso impossibile dall'assurdo che incombe sull'esistenza umana. La ricerca del legame inter-umano che continuamente sfugge è simile allo sforzo immane che Sisifo compie per tornare sempre allo stesso punto. Il legame umano pare infine essere non altro che il rendersi consapevoli dell'assurdo e del cercare di superarlo nella solidarietà. L'assurdo di certe manifestazioni volte a recidere il legame stesso, come ad esempio la guerra e le divisioni di pensiero in generale, incombe sugli uomini come una divinità malefica, che ne fa allo stesso tempo degli schiavi e dei ribelli, delle vittime e dei carnefici. Resta dunque il suicidio, ma quello "fisico" non risolve il problema del senso; mentre quello spirituale (Kierkegaard con la "speranza" in Dio, e Husserl con la ragione portata oltre i limiti della propria finitudine) svia dal vero problema. La soluzione per Camus è la "sopportazione" della propria presenza nel mondo, "sopportazione" che consente la libertà; e la "protesta/ribellione" nei confronti dell'assurdità dell'esistenza, quindi contro il "destino", consegna alla vita il suo valore effettivo. Camus non cerca quindi più Dio o l'Assoluto, il suo obiettivo diviene "l'intensità della vita". Per Camus Sisifo è quindi felice perché nella sua condanna diviene consapevole dei propri limiti e quindi assume su di sé il proprio destino."

Sotto questa nuova luce quindi possiamo affermare che la lotta per raggiungere la vetta di una montagna basta a riempire il nostro cuore, che lo scalare quei luoghi impervi ed inaccessibili è utile per smarrire la nostra identità ovvero ritrovare noi stessi.


Traverso su roccia nei pressi della vetta del Corno Nero (4322m).

Durante un'ascesa o una traversata in quota a volte sfidiamo la morte di continuo, ma, proprio per sconfiggerla, vogliamo continuamente ripetere questa azione perché il perpetuo alternarsi tra salita e discesa rappresenta metaforicamente i poli opposti della nostra condizione: da un lato la quotidianità spesso insensata e frustrante che ci viene imposta dalla società in cui viviamo; dall'altra il tentativo di ribellarsi ad essa accompagnato dal processo di liberazione che riesce a dare senso e pienezza alla nostra esistenza.

"Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli Dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice."

Quindi alla base della montagna ci sarà sempre un enorme macigno da spingere e riportare in cima, lo sforzo però verrà compensato non dall'illusione di poter ambire, una volta giunti in vetta, ad una forma di umanità superiore, no, questo è impossibile...


Discesa lungo lo scivolo nevoso del Corno Nero (4322m).

Bensì di avere scelto un modo di agire che ci allontana da una "assurda" quotidianità perché "Possiamo essere Eroi, anche solo per un giorno. Possiamo essere noi, anche solo per un giorno."
Ultimamente le mie "menate" stanno raggiungendo livelli mai raggiunti, fermiamoci qui... Almeno per il momento!

Chiusa parentesi musicale-filosofica.

Abbiamo raggiunto la cresta sommitale del Gorzano e la stiamo percorrendo, siamo intorno ai 2400m ed a breve mi aspetto di vedere apparire la piccola croce di vetta: "Mirko, ci siamo! No, scusa, è solo un paletto segnaletico!" Credo neanche mi abbia sentito per il rumore del vento...
Proseguiamo, imperterriti finché non la calpestiamo quasi!


La croce di vetta del "Monte Gorzano", il più alto dei Monti della Laga con i suoi 2458m.

Siamo arrivati sulla cima del Gorzano e a parte la croce semisepolta dalla neve non si vede nulla: le condizioni sono simili a quelle che incontrai sulla vetta del Monte Bianco poco più di un anno fa (vedi post In vetta al tetto d'Europa, la traversata del Monte Bianco con salita per la "Via dei Trois Mont Blanc" e discesa per la "Via dell'Aiguille du Goûter") e non possiamo trattenerci a lungo.
C'è la gioia per l'obiettivo raggiunto e la velocità con cui l'abbiamo perseguito a dispetto delle condizioni estreme: abbiamo impiegato lo stesso tempo che occorre solitamente per l'ascesa in condizioni normali (senza neve) partendo da una quota di duecento metri inferiore. Non siamo soddisfatti... di più!
Concordiamo subito che conviene scendere per la stessa via per la quale siamo saliti, d'altronde non avrebbe senso aggiungere altre incognite alle altre già presenti: il tempo di scattare alcune foto e si scende!

La visibilità è ridotta a meno di 10 metri.

Mi tolgo un guanto, estraggo la fotocamera dalla custodia e scatto in successione alcune fotografie della vetta con e senza Mirko: per velocizzare il tutto, senza che lui faccia lo stesso con la sua macchinetta fotografica, gli passo la mia e ripetiamo l'operazione.
Il freddo è intenso, rimetto subito il guanto ma la mano destra è già congelata ed è per questo che tra uno scatto e l'altro sollevo ed abbasso il braccio destro in modo da riattivare la circolazione: il fato vuole che Mirko inavvertitamente imposti la fotocamera in modalità multi-scatto e ciò che ne consegue è veramente esilarante.

"… What you doin' on your back, aah 
What you doin' on your back, aah? 
You should be dancing, yeah 
Dancing, yeah…"

Il risultato infatti è questa animazione dove sembra io voglia emulare John Travolta nella "Febbre del sabato sera", in cima ad una montagna ed in queste condizioni!
Come diceva lo scrittore francese Maurice Barrès "Il senso d’ironia è una grande garanzia di libertà" ed io, specie in questi frangenti non posso che condividere il suo pensiero facendo proprio dell'auto-ironia: mica bisogna prendersi sempre troppo sul serio, no?
Effettuata questa operazione ci rimettiamo subito in marcia con il vento che adesso spinge alle nostre spalle: mentre posiamo i piedi sul sentiero percorso pochi minuti fa, notiamo come le orme lasciate dalle nostre ciaspole siano già scomparse come se non fossimo mai passati di lì...
La marcia di "gran lasco" dura il tempo di percorrenza della cresta sommitale, e, senza accorgercene, ci ritroviamo a "bordeggiare" lungo la Costa delle Troie. Il fenomeno di deriva, patito durante l'ascesa, proseguendo in discesa e grazie all'aumento dell'intensità delle raffiche di vento si è ulteriormente accentuato e lo sforzo per mantenere la rotta ancor maggiore: ne avremo almeno per un'altra ora...
La nostra tenacia però viene premiata ed intorno ai 1800m le nuvole si aprono lasciandoci vedere che siamo giunti a poche centinaia di metri dal bosco dove sicuramente tireremo un po' il fiato ed il vento soffierà con meno intensità.

In basso si inizia ad intravedere il bosco.

Neanche a farlo apposta qui ritroviamo le nostre impronte, come ad indicare la giusta via ad un viandante che aveva smarrito la strada...


Il Corno Grande del Gran Sasso parzialmente ricoperto dalle nuvole.

E la discesa continua, veloce, raggiungendo nuovamente la carrareccia e "tagliando" anche alcuni tornanti: prima che il bosco termini facciamo la seconda ed ultima pausa, togliendo le racchette da neve, ormai inutili, mangiando e bevendo qualcosa in preparazione dell'ultimo lungo quanto facile tratto che ci accompagnerà nuovamente a Cesacastina.
Anche oggi abbiamo portato il nostro masso in cima al monte, anche oggi ci siamo allontanati da una "assurda" quotidianità riuscendo a toccare per un solo istante l'infinito, perché possiamo essere "eroi", possiamo essere “immortali”, anche se solo per un giorno, ma quel giorno possiamo essere “noi”...

R.I.P. David Bowie (8 gennaio 1947 – 10 gennaio 2016)



Galleria fotografica in preparazione.



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